90 anni di storia del golf a Sanremo

Scritto da Marco Mascardi (al momento in cui scriviamo, socio onorario del Circolo Golf degli Ulivi) 

C’è una terra dove tutto l’anno piove meno che altrove, soprattutto in inverno. Il clima normale è mite. Poco vento. Brezze leggere e calde fanno circolare l’aria, che è sempre pura. L’area è compresa tra un punto incerto vicino a Capo Mele (Cervo, in Italia) e Saint Tropez in Francia. Nella parte francese si chiama Costa Azzurra, in quella italiana Riviera dei Fiori. Zone molto conosciute, la cui storia è ricca di aneddoti e personaggi famosi. Cominciamo con i nostri pezzi. Sanremo, ma anche Bordighera, favorita dalla regina Margherita, Ospedaletti e tutta la Riviera italiana negli anni Venti vivevano l’ultimo ventennio dell’era Bell. Ad Arma di Taggia c’era anche un piccolo campo da golf. Poi è scoppiata la Seconda Guerra Mondiale. Sanremo aveva grandi alberghi, sontuosi e curati nella misura richiesta da una clientela che si autofinanziava.

Sanremo, negli anni ’20, cercava di competere con Monte Carlo, Cannes e Antibes. È stato un confronto difficile. Pirandello dava le sue commedie, a volte in prima mondiale, al Casinò e il Casinò organizzava spettacoli di lirica e di prosa con artisti di primo piano, e ai suoi migliori clienti offriva, in un’edizione non commerciale della Voce del Padrone, le raffinatissime esecuzioni del Quartetto che aveva assemblato con estrema cura. Il celebre violinista Aldo Ferraresi, poi primo violino a Bayreuth, il Maestro Nielli, che in seguito diresse per anni le orchestre della RAI, il violoncellista Rampi e il violista Scarpa diedero vita a esecuzioni che ogni volta attiravano un pubblico estremamente raffinato.

Dagli anni ’30, tuttavia, Sanremo ha coltivato il suo unico gioiello. È il campo da golf. Diciotto buche scavate nelle pendici di una collina piena di ulivi e mimose. Tutto ebbe inizio alle 14.00 di martedì 1 dicembre 1931. Quando, davanti a un pubblico più curioso che informato, due gentiluomini inglesi e i due migliori istruttori di golf dell’epoca, Prette e Pasquali, diedero una dimostrazione del gioco. I due inglesi erano Peter Gannon e il maggiore Blanford, che furono tra i primi a preparare campi da golf in Italia. Prette era un insegnante eccezionale e Pasquali, che aveva vissuto la maggior parte della sua vita in Francia, era diventato noto in Italia per aver vinto il primo Open d’Italia nel 1925.

Oggi i responsabili delle pubbliche relazioni lo chiamerebbero “evento”. Delle persone che si sono recate sul posto quel giorno, poche sono tornate. Forse. Invece, prima del completamento della clubhouse e del rodaggio del campo, dal 1° dicembre 1931 (giorno della famosa partita di esibizione) al 20 febbraio 1932 (giorno dell’inaugurazione vera e propria), sono state giocate 1.295 partite da persone entusiaste e felici di trovare un campo così piacevole: 142 italiani, 73 inglesi, 11 americani, 18 tedeschi, 2 svedesi, 3 olandesi, 3 spagnoli, 2 francesi e 2 svizzeri. In media, tutti hanno giocato più o meno cinque partite. Il green fee era di 20 lire. Il solo green fee ammontava a 130.000 lire. Il valore di un bellissimo edificio all’epoca a Milano.

Neanche questa è stata una sorpresa. L’Enit dell’epoca, con una chiarezza che lascia più rammarico che stupore, aveva pubblicato, nel 1926, un piccolo opuscolo il cui titolo era una grande verità: “Il golf attira il turista”. Una verità a lungo ignorata. Nel volumetto si legge chiaramente che “molti turisti anglosassoni evitano di venire in Italia perché sanno che non troveranno un buon campo da golf: preferiscono altri Paesi che hanno da tempo preparato molti buoni campi”.

Sanremo, con un gesto di vera lungimiranza, non solo creò il proprio percorso, ma lo rilanciò per la prima volta nel 1947, subito dopo la guerra che lo aveva fortemente ridotto. Nel 1965, i lavori per la costruzione dell’Autostrada dei Fiori mutilarono il campo, che dovette essere ridotto a sole nove buche. Era un periodo molto competitivo. Il presidente del club, il dottor Cesare Aluffi, era anche membro del consiglio comunale. Dopo due anni, il comune ha deciso di rimettere in funzione il campo. Per ottenere l’ultimo decisivo finanziamento comunale, che non poteva essere stabilito per semplici motivi burocratici, i membri del Club si unirono in un’Associazione Sportiva, ottennero 300 milioni e finalmente, il 31 dicembre 1972, dopo lavori semplicemente giganteschi, il campo fu riaperto nella sua forma attuale: 18 buche, par 69, 5203 metri.

Il campo è sicuramente bellissimo. Ci si può lasciar trasportare da entusiasmi forse esagerati, come accade a me come membro del club, ma non si tratta nemmeno di mostrare il comportamento altezzoso e sprezzante di alcuni giocatori dilettanti che troverebbero il percorso troppo facile. La realtà è che il percorso è insidioso. Punisce gli audaci, cioè i troppo audaci, quando si affidano incautamente alla loro presunta abilità. La seconda buca, un par tre che gioca brutti scherzi, è sufficiente a farli uscire dal loro sogno. Qui, infatti, chi vuole troppo non va da nessuna parte: su questa buca lunga e stretta, la prima parola inglese che i caddie hanno imparato è stata “Out! Questo par tre, invece, premia chi è in grado di misurare il colpo rispetto alle sue reali possibilità. Un legno dritto al centro del fairway, un pitch dal tee e i putt necessari. Ad alcune persone ne basta uno. Li ho anche visti putt….

Non mancano buche potenti, come la 6, la 8 e la 15, dove il green è così alto nel cielo che si arriva sempre con il fiato sospeso. Ma, in realtà, tutte le buche, giocate sotto pressione, si trasformano in problemi. E qui sta il vero piacere: il campo è quello che è, ognuno lo vede a modo suo e a misura sua, ma chi lo gioca con leggerezza gioca meglio. Tra amici, per piacere e divertimento. Per i professionisti è diverso: tutto va bene, cioè, come sempre. C’è sempre il putt che va oltre il limite e quello che entra dalla porta di servizio. Il percorso, invece, non lascia trasparire nulla: certamente, visto dalla terrazza del Club, sembra quasi dominante. Poi si mette la palla sul tee. E l’idea cambia. La chiave del gioco è un gioco attento e misurato. Non c’è altro da aggiungere. Va detto che da queste parti non c’è mai stata carenza di buoni giocatori. Negli anni Trenta arrivarono Leopoldo del Belgio con la principessa De Rethy, una vera campionessa, Douglas Fairbanks con Mary Pickford, Bernardo d’Olanda e tutta una serie di giocatori milanesi e torinesi che diedero lustro alle gare annuali, diventate ormai una tradizione. Qui hanno giocato anche Ballesteros, Langer e i migliori della loro generazione.

Il bel gioco è una caratteristica locale. Tutto è iniziato con il Maestro Prette, fin dall’inizio. Gli studenti hanno seguito. Prima Aldo Casera, uno dei migliori golfisti italiani di tutti i tempi, campione di fama europea; una pattuglia di eccellenti maestri ha dato fama a Sanremo, e non solo, ma ha fornito agli ospiti, che avevano il tempo libero necessario, la giustificazione per lunghi soggiorni invernali. 

Un dettaglio importante.

Sullo stemma del Club degli Ulivi c’è una corona ducale, quella di Adalberto di Savoia, duca di Bergamo, che aveva gentilmente accettato la nomina a presidente onorario…

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